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La jeep lascia la costa e punta verso le montagne brulle del Dhofar. L’altitudine sale e il terreno si asciuga, fino a trasformarsi in una spianata arida dove, a combattere la sabbia e il sole, sono rimasti solo gli alberi d’incenso. È la resina preziosa che trasudano queste piante ad aver reso Salalah, nei secoli, un porto ricco e fiorente, dove le carovane esauste arrivavano a caricarsi di nuove merci da trasportare nel mondo.
Più ci spingiamo verso nord, più l’umidità del mare si dirada e la vita sembra impossibile. Ma il deserto è tutt’altro che morto: gli scavi della città perduta di Ubar testimoniano che un tempo il leggendario Rub’ al-Khali, il «quarto vuoto», era attraversabile e c’era vita ai suoi margini. Quando la jeep lascia l’asfalto e inizia a sfrecciare a tutta velocità su piste poco battute, capisco che ormai ci siamo. Intorno a me non c’è più alcun orizzonte, ma solo una distesa di colline di sabbia che si moltiplicano all’infinito in ogni direzione. Ai piedi di una di questa, protetta dai venti, sorge il nostro magico campo tendato. I piedi affondano nella sabbia e la fatica per raggiungere la vetta di una duna è molta, ma il tramonto su un cielo così terso ripaga ogni sforzo. I colori si fanno via via più irreali, la luce così materica che sembra quasi di poterla toccare con le dita. Le dune ora d’oro diventano rosso acceso, poi viola, quando il sole è già sotto l’orizzonte e la luce non è che un ultimo, estremo riverbero. La stellata che si srotola sopra i nostri occhi è stupefacente.
Migliaia di stelle sembrano appuntate come spilli su un manto nero di velluto. Ogni tanto distolgo gli occhi dalle fiamme vive del fuoco per perdermi tra i fumi del narghilé e le costellazioni. Il grande carro non è ancora sorto, ma in compenso Orione domina il cielo invernale. Linus, la nostra guida, aspira la pipa a grandi boccate e mi guarda fisso. «È solo qui, nel silenzio del deserto, che riesco a staccare veramente. Non ci sono più per nessuno. C’è solo tempo per pensare, per stare insieme, e basta». Il tempo ci scivola via tra le mani ed è ora di chiudere la zip della tenda e infilarsi sotto il piumone per scaldarsi un po’ dalla notte gelida del Rub’ al-Khali. Chiudo gli occhi trepidante, in attesa dell’alba tra i granelli di sabbia.